I REGISTRI VOCALI: dalla concezione storica alla nozione dei meccanismi laringei

STORIA ED EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI REGISTRO VOCALE

Il termine registro in riferimento alla voce è stato impiegato per la prima volta nel XIII secolo [i], adottato dalla terminologia relativa all’organistica [ii].  Fino al XIX secolo risultava assai difficile lo studio della fisiologia vocale, in quanto non esistevano molte delle tecnologie di cui disponiamo oggi. Essenzialmente le conoscenze di fisiologia fonatoria si basavano sullo studio della laringe tramite specchietti laringei (figura 1).

Uno dei primi studiosi ad analizzare con sguardo scientifico i registri vocali fu il celebre Manuel Garcia, il quale definì il registro vocale come segue: “attraverso la parola registro noi intendiamo una serie di toni consecutivi e omogenei che vanno dal più grave al più acuto, prodotti attraverso lo stesso principio meccanico, e la cui natura differisce essenzialmente da un’altra serie di toni ugualmente consecutivi e omogenei prodotti da un altro principio meccanico. Tutti i toni che appartengono allo stesso registro sono di conseguenza della stessa natura, a prescindere dalle variazioni di timbro e forza alle quali uno li sottoponga”[iii].

Figura 1. Manuel Garcia

Garcia aveva descritto tre fondamentali registri: voce di petto, falsetto e voce di testa. Per ognuno di essi aveva identificato – per la voce maschile e per la voce femminile – un range frequenziale ben definito.

Nel 1884 gli autori Emil Behnke (chirurgo) e Leenox Browne (insegnante di canto) definirono similmente i registri come una serie di toni che vengono prodotti con lo stesso meccanismo. Descrissero un registro “spesso” (thick register), diviso a sua volta in lower-thick and upper-thick; un registro “sottile” (thin register) e – solo per le voci femminili – un registro “piccolo” (small register)[iv].

All’inizio del XX secolo buona parte degli insegnanti di canto e degli scienziati della voce concordava sul fatto che esistesse un numero di registri compreso tra 2 e 5. In questo periodo il termine meccanismo venne spesso usato come sinonimo di registro. Per esempio John Wilcox parlò di meccanismo pesante (heavy mechanism) e meccanismo leggero (light mechanism)[v].

Nel 1963 un gruppo di studio svedese pubblicò un lavoro di analisi della terminologia riguardante i registri vocali nei vari paesi europei. Gli autori raggrupparono i vari termini sotto 5 insiemi, che corrispondevano essenzialmente a strohbassregistro di pettoregistro mistovoce di testa e fischio. Essi conclusero che l’unico sicuro comune denominatore dei registri era rappresentato dal range frequenziale su una scala musicale[vi].

Negli stessi anni iniziarono ad essere studiate le laringi escisse di cadavere e si riuscirono a riprodurre i registri e i passaggi di registro semplicemente variando la tensione muscolare e la pressione sottoglottica[vii].

Nel 1967 William Vennard descrisse per la prima volta nel libro Singing: The Mechanism and Technic la corrispondenza tra un determinato registro e reperti di imaging endoscopico laringeo. Egli mostrò che nel meccanismo pesante le corde vocali vibravano per tutta la lunghezza e a tutto spessore; nel meccanismo leggero vibravano solamente a livello del bordo libero e a volte non in tutta la lunghezza (figura 2, 3) [viii].

Figura 2. Meccanismo pesante [viii].
Figura 3. Meccanismo leggero [viii].

Nel 1970 il team di ricerca del chirurgo M. Hirano analizzò l’attività elettromiografica di una serie di muscoli (cricotiroideo, vocale e cricoaritenoideo laterale) durante l’emissione cantata, dimostrando una diversa attività muscolare a seconda del registro (figura 4) [ix].

Figura 4. Attività dei muscoli cricotiroideo, cricoaritenoideo laterale e vocale
per diversi registri [ix].

Nel 1974 lo scienziato della voce H. Hollien pubblicò un articolo nel quale si proponeva una nuova definizione di registro vocale, considerato come una serie di frequenze emesse consecutivamente e aventi una qualità vocale praticamente identica [x]. Si affermava altresì che un registro vocale è da considerarsi un evento completamente laringeo. Hollien propose una nuova ed “incontaminata” terminologia per i registri vocali, che egli definì come:

  • Pulse (strohbass, vocal fry)
  • Modal (chest)
  • Loft (head o falsetto)
  • Flute (whistle).

Alla fine degli anni ’70 l’organizzazione medica internazionale Collegium Medicorum Theatri (CoMeT) fondò un Comitato Internazionale sui Registri Vocali con a capo il Dr. Hollien. Il comitato comprendeva più figure professionali tra cui otorinolaringoiatri, scienziati della voce e insegnanti di canto e aveva l’incarico di trovare una definizione univoce dei registri vocali da un punto di vista percettivo, fisiologico ed acustico.  In una conferenza del 1983 tenutasi a Stoccolma [xi]  il comitato arrivò ad una serie di conclusioni, qui presentate sinteticamente:

  • I registri esistono e devono essere riconosciuti come entità.
  • C’è una differenza in termini di registri tra voce parlata e voce cantata.
  • Non si possono eliminare le differenze di registro da una voce umana ma si può imparare ad “addolcire” i passaggi di registro.
  • La maggior parte dei membri del comitato fu d’accordo sul fatto che la sorgente dei registri probabilmente è rappresentata in parte dalla laringe e in parte dal vocal tract. Una minoranza del comitato ipotizzò invece che la sorgente dei registri vocali fosse esclusivamente laringea.
  • Riguardo alla terminologia relativa ai registri, il comitato mise in discussione l’appropriatezza scientifica di termini come “voce di testa” e “voce di petto”. Queste storiche denominazioni prevedevano infatti l’identificazione del registro con le sensazioni vibratorie corporee del cantante. E’ vero che esistono sensazioni vibratorie di consonanza nella pratica del canto, ma esse non possono essere considerate come connotanti un determinato registro vocale. Le caratteristiche che definiscono un registro dovrebbero essere fenomeni di natura fisico-acustica (alla base delle sensazioni vibratorie di cui sopra). Il comitato concordò sul fatto che si doveva trovare una nuova terminologia per i registri, scevra dai retaggi etimologici del passato. Si suggerì di numerare i registri come segue: #1: il più grave dei registri (corrispondente al pulse, vocal fry etc.); #2: registro più usato nel parlato e nel cantato (modale, voce di petto, meccanismo pesante etc.); #3: registro acuto impiegato essenzialmente nel canto (falsetto, voce di testa, meccanismo leggero etc.) #4: registro molto acuto rilevato soprattutto nelle donne e nei bambini (fischio laringeo).

Nonostante gli sforzi della comunità scientifica vocologica per trovare un accordo, quello sui registri è rimasto a lungo un dibattito aperto. Infatti, ancora negli anni ’90, mentre alcuni autori definivano i registri  basandosi sulle caratteristiche della qualità vocale:  “Il termine registro è stato usato per descrivere percettivamente regioni distinte di qualità vocale che può essere mantenuta costante entro determinati range frequenziali e di intensità”[xii]; altri iniziavano a descriverli in base al meccanismo laringeo sottostante: “il registro vocale è un set o range di suoni in serie che risultano percettivamente simili e vengono prodotti da pattern vibratori cordali simili”[xiii].

Nel 2000 D. G. Miller definì due possibili approcci nella definizione dei registri, i quali possono essere considerati sia come entità di esclusiva pertinenza laringea, sia come entità derivanti non solo dalla sorgente, ma anche dall’attività del vocal tract.

Se si ripercorre schematicamente l’evoluzione della concezione di registro da Garcia a Miller, si apprezza che, nonostante gli sforzi, in quasi due secoli non si è raggiunto un reale consenso al riguardo.

Figura 5. l’evoluzione del concetto di registro dal 1840 al 2000.

I MECCANISMI LARINGEI: LA RIVISITAZIONE DEL CONCETTO DI REGISTRO
La ricerca scientifica nell’ambito dei registri vocali ha conosciuto una vera e propria svolta nel 2007 quando un gruppo di studio francese ha analizzato per la prima volta il fenomeno dei registri (e delle transizioni di registro) affiancando alle indagini acustiche ed endoscopiche, l’analisi elettroglottografica dell’attività della sorgente, dimostrando l’esistenza di 4 meccanismi vibratori laringei che sottostanno alle differenze percettive ricondotte storicamente ai registri vocali [xiv].

Figura 6. spettrogramma di un glissando e relativi meccanismi laringei
(da  Roubeau et al.[xiv])

Analizzando il sonogramma di un glissando eseguito da un soprano senza porre attenzione all’estetica del suono, ma semplicemente muovendosi lentamente da un estremo all’altro dell’estensione vocale, si osserva che esistono quattro aree distinte, con caratteristiche spettrografiche diverse ed intervallate da punti di passaggio in corrispondenza dei quali si apprezzano “salti” frequenziali (figura 6). Il grande merito degli scienziati francesi è stato quello di dimostrare che le quattro aree poste in evidenza, oltre ad avere caratteristiche acustiche, endoscopiche e percettive differenti, corrispondono a pattern elettroglottografici caratteristici. Vale a dire che ad essi corrispondono i seguenti quattro meccanismi laringei vibratori:

Meccanismo 0 (M0): consente la produzione dei suoni più gravi nel range frequenziale. Esso si caratterizza endoscopicamente per avere le pliche vocali molto accorciate, spesse e lasse. All’EGG la fase di contatto risulta molto lunga rispetto al ciclo vibratorio cordale. I cicli vibratori cordali possono essere periodici a basse frequenze (intorno ai 70Hz), possono presentare periodicità multipla (coppie o triplette di cicli che si ripetono) oppure possono presentare impulsi glottici totalmente aperiodici (figura 7).

Figura 7. Caratteristiche elettroglottografiche dell’M0
in un baritono e un mezzo soprano (da  Roubeau et al.[xiv])

Meccanismo 1 (M1): è il meccanismo più utilizzato nella voce parlata, ma è molto impiegato anche nel canto, sia dai maschi che dalle femmine. Endoscopicamente si può apprezzare una vibrazione cordale a tutto spessore, alla quale partecipano anche gli strati tissutali profondi. All’EGG il segnale risulta macroscopicamente ampio e tipicamente asimmetrico. Il ciclo vibratorio glottico presenta una fase di chiusura brusca e ha un quoziente di apertura (definito come il rapporto tra la durata di apertura delle corde vocali rispetto alla durata dell’intero ciclo glottico) compreso tra 0.3 e 0.8. Nel meccanismo 1 il quoziente di apertura è influenzato dall’intensità del suono.

Meccanismo 2 (M2): in questo caso la corda non vibra a tutto spessore, ma solo nella componente più superficiale. Il segnale elettroglottografico risulta macroscopicamente meno ampio e più simmetrico rispetto a quello del meccanismo 1. Il quoziente di apertura è sempre maggiore di 0.5 ed è influenzato dalla frequenza fondamentale del suono. In generale, per suoni con la stessa frequenza, un M1 presenta quozienti di apertura minori rispetto ad un meccanismo 2. In altre parole, l’M1 prevede una fase di contatto cordale mediamente più lunga rispetto ad un M2 a parità di frequenza. Anche dal punto di vista spettrografico l’M2 differisce dall’M1 in quanto si caratterizza per una minore ricchezza armonica (figura 8-9).

Figura 8. Caratteristiche elettroglottografiche di M1 ed M2
(da  Roubeau et al.[xiv]).
Figura 9. Spettrogramma, intensità e quoziente di apertura di M1 ed M2
(da  Roubeau et al.[xiv])

Meccanismo 3 (M3): è un meccanismo che consente di raggiungere frequenze anche molto elevate (1000-1400 Hz). Endoscopicamente le corde vocali sono estremamente tese e sottili. Spesso il contatto cordale manca e il suono viene emesso tramite un meccanismo “ad ancia”. Quando il contatto cordale – seppur minimo – è rilevabile, l’EGG mostra un segnale macroscopicamente molto simmetrico e di piccola ampiezza (analogo a quello dell’M2, vedi figura 10).

Figura 10. Caratteristiche elettroglottografiche di M3
(da  Roubeau et al.[xiv])

Il passaggio di registro è il punto critico in cui le corde acquisiscono improvvisamente un altro tipo di meccanismo vibratorio. Esso si accompagna  – nella voce “non esperta” –  ad un salto frequenziale che lo enfatizza. Questo fenomeno spesso non si verifica nei cantanti allenati, i quali sono in grado di mascherare abilmente il passaggio di registro. Parliamo di “mascheramento” del passaggio di registro perché di fatto esso esiste e non si può evitare: anche quando il performer addolcisce il passaggio di registro, le rilevazioni elettroglottografiche testimoniano che il passaggio avviene comunque  (e avviene bruscamente).

Una conseguenza molto importante delle esposte evidenze scientifiche è rappresentata dalla ricaduta pratica che esse hanno in ambito terminologico.  Oggi è possibile raggruppare la terminologia estremamente varia (e a volte confusa) relativa ai registri vocali al di sotto dei quattro meccanismi laringei descritti:

MECCANISMI

M0

M1 M2 M3
Nomenclatura
storica
dei registri
Vocal fry

Pulse

Strohbass

Voce di petto

Chest voice

Meccanismo pesante

Modale

Voce di testa

Head Voice

Meccanismo leggero

Falsetto

Fischio laringeo

Whistle

Flageolet

Sebbene alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche i registri vocali propriamente detti possano essere considerati semplicemente in relazione all’attività della sorgente laringea, di fatto nel canto non si può non considerare la grande importanza che riveste il vocal tract nel determinare variazioni timbrico-risonanziali. Nuove prospettive nella comprensione del rapporto tra meccanismi vocali e variazioni risonanziali consisterà nello studio, tramite tecniche di imaging non invasive come la risonanza magnetica funzionale, del ruolo rivestito dal vocal tract nella voce cantata in relazione ai registri e alla miscela di essi, come avviene per esempio nel caso della cosiddetta voce mista, molto sfruttata in ambito artistico.

 

 

 

Articolo pubblicato in data 21.02.2016  – http://vocologicamente.blogspot.com

 

Bibliografia

[i] Duey, P. (1951).  Bel Canto in Its Golden Age.  New York: King’s Crown Press.

[ii] Merkel, C. (1863).  Anatomie und Physiologie des menschlichen Stimm- und Sprachorgans.  Leipzig: Abel.

[iii] Garcia M. (1840). Memoire sur la Voix Humaine. Parigi, Duverger.

[iv] Browne, L., & Behnke, E. (1884).  Voice, Song, Speech.  New York: Putnam.

[v] Wilcox, J. (1935).  The Living Voice.  New York: Carl Fischer.

[vi] Mörner, M., Fransesson, N., & Fant, G. (1964).  Voice register terminology and standard pitch.  Speech Transmission Laboratory Quarterly Status Progress Report, 4, 12-15.

[vii] Svec JG, Schutte HK, Miller DG. On pitch jumps between chest and falsetto registers in voice: data from living and excised human larynges. J Acoust Soc Am. 1999 Sep;106(3 Pt 1):1523-31.

[viii] Vennard, W. (1967).  Singing: The Mechanism and Technic.  New York: Carl Fischer.

[ix] Hirano, M., Vennard, W., & Ohala, J. (1970).  Regulation of register, pitch, and intensity of voice: An electromyographic investigation of intrinsic laryngeal muscles.  Folia Phoniatrica, 22, 1-20.

[x] Hollien, H. (1974).  On vocal registers.  Journal of Phonetics, 2,125-143.

[xi] Hollien, H. (1985). Report on vocal registers.  Proceedings of the Stockholm Music Acoustics Conference, 1, 27-35.

[xii] Titze, IR. Principles of Voice Production, 1994.

[xiii] Sakakibara K-I. Production mechanism of vocie quality in singing. Journal of the Phonetic Society of Japan, 2003.

[xiv] Roubeau B, Henrich N, Castellengo M. Laryngeal vibratory mechanisms: the notion of vocal register revisited. J Voice. 2009 Jul;23(4):425-38.

LA VOCE MISTA: un meccanismo “fantasma”?

A cosa ci riferiamo quando parliamo di voce mista?

La voce mista o mix voice è una modalità di emissione vocale che di fatto “mixa” le caratteristiche timbriche dei meccanismi M1 (voce piena/chest voice/heavy mechanism) ed M2 (falsetto/head voice/light mechanism) ed è molto usata in ambito artistico, per esempio ai fini di rendere omogenea la timbrica dei registri vocali attorno all’area del passaggio di registro.

Storicamente, uno dei primi tentativi di definizione fisiologica di voce mista di cui abbiamo testimonianza risale alla conferenza del Collegium Medicorum Theatri (CoMeT) del 1983 [1]. In tale occasione furono codificati quattro registri (#1; #2; #3; #4, gli “antenati” degli attuali M0, M1, M2 ed M3), ma venne anche posta attenzione ad un ulteriore registro, definito #2A, citato da molti insegnanti di canto e definito voce mista. Esso venne posto tra #2 e #3 e, sebbene fosse difficile da descrivere e dimostrare empiricamente, venne considerato non trascurabile data la sua notevole diffusione negli ambienti della voce artistica e della didattica canora.

Con la rivisitazione del concetto di registro e la definizione dei meccanismi vocali (M0, M1, M2 ed M3) [2], si è riaperto il dibattito circa la natura della voce mista alla luce delle nuove acquisizioni scientifiche. In particolare ci si è chiesti se la voce mista potesse essere considerata un meccanismo laringeo a sé stante o se implicasse semplicemente – a parità di meccanismo – l’aggiustamento dell’attività delle cavità di risonanza e della sorgente al fine di ottenere variazioni timbriche desiderate.

Grazie all’elettroglottografia oggi è possibile indagare le modalità di emissione vocale di un cantante lungo tutta l’estensione, considerando separatamente i range (frequenziali e di intensità) dei suoni emessi in M1 (voce piena) e in M2 (falsetto). Se si esegue il fonetogramma di una voce cantata considerando la completa estensione dell’M1 e dell’M2, si ottengono due aree che presentano una parziale sovrapposizione. Ciò significa che ogni voce ha la possibilità di emettere un certo numero di note (a varie intensità) in modalità M1 o M2, indifferentemente (figura 1).

Figura 1.  Rappresentazioni fonetografiche medie
per uomini e donne in M1 ed M2.
Vengono evidenziate le aree di sovrapposizione (da Roubeau et al. [2]).

Dalle analisi di fonetogrammi condotti su cantanti maschi e femmine si osserva che l’area M1 è mediamente maggiore per gli uomini, mentre l’area M2 è mediamente maggiore per le donne. Tuttavia l’area di sovrapposizione di M1 ed M2 è simile per ampiezza e range frequenziale per entrambi i generi (figura 2) [3].

Figura 2. Range dinamico medio di M1 ed M2 in uomini e donne.
Si osserva che nelle donne tende a prevalere il range dinamico dell’M2,
nell’uomo è più ampio il range dinamico di M1.
Tuttavia l’area di sovrapposizione M1-M2 è simile nei due generi
(da Castellengo et al [3])
Figura 3. Area media di sovrapposizione fonetografica tra M1 ed M2
negli uomini e nelle donne [4].

In figura 3 si può osservare l’area fonetografica comune ai meccanismi 1 e 2 nei due generi. Essa rappresenta l’area dalla quale può prendere origine la voce mista. In base a quanto affermato, i suoni “misti” potrebbero quindi essere prodotti sia in M1 (mix1) che in M2 (mix 2), risultando a volte molto difficili da discriminare. Il cantante esperto infatti è in grado di emettere suoni mix1 che mimano suoni M2 e suoni mix2 che mimano suoni M1. Tuttavia con l’ausilio dell’elettroglottografia è possibile  definire con certezza di quale meccanismo sia figlio il suono misto in questione. Si può dunque affermare con ragionevole sicurezza che esistono due misti: un mix 1, che viene prodotto nell’area fonetrografica di sovrapposizione M1-M2 a partire da un M1, e un mix 2, che viene prodotto nell’area di sovrapposizione fonetografica M1-M2 a partire da un M2 (figura 4).

Figura 4. Area di sovrapposizione M1-M2 in un controtenore
e aree fonetografiche relative a mix1 e mix2 (da Lamesch et al [5]).

Ma che differenza c’è tra suoni mix1 e suoni mix2? Se si chiede ad un cantante esperto di emettere suoni alla stessa frequenza in mix1 e in mix2, si osserva che il suono mix2 tende ad avere un’intensità minore.  Ci sono anche, per quanto abile possa il cantante, talune differenze timbriche tra suoni mix1 e suoni mix2, con una maggiore ricchezza armonica, soprattutto nella finestra 4-8KHz, dei suoni mix1.

Come dimostrato da Lamesch et al. [5] se si chiede ad un cantante (nel caso dello studio in questione un esperto controtenore) di produrre suoni misti a partire da un M1 (mix1), si osserva che il cantante riduce l’intensità di circa 4 dB ed è in grado di “detimbrare” il suono nella finestra frequenziale 6-8kHz (figura 5). Al contrario, se si chiede di produrre un suono misto a partire da un M2 (mix2), si osserva che il cantante incrementa l’intensità di circa 3,5 dB e rinforza gli armonici tra i 6-8kHz nello spettro di potenza (figura 6). La grande abilità del performer consente di portare i suoni misti a raggiungere un quasi totale “mimetismo acustico” con i suoni del meccanismo al quale si vuole avvicinare.

Figura 5. Profilo spettrale di voce mix1
e confronto con M1 (blu) ed M2 (rosa)
(da Lamesch et al. [5])
Figura 6. Profilo spettrale di voce mix2
e confronto con M1 (blu) ed M2 (rosa)
(da Lamesch et al. [5])

Dalle evidenze attualmente disponibili sull’argomento, si può concludere che la voce mista non sembrerebbe rappresentare un meccanismo laringeo a sé stante, bensì una modalità di emissione vocale che, a partire da un meccanismo laringeo definito (M1 o M2) e – verosimilmente – attraverso fini modificazioni d’assetto della sorgente e del vocal tract, consente di ottenere suoni percettivamente intermedi tra i due meccanismi o simili all’altro meccanismo (mix1 che mima un M2, mix2 che mima un M1). Si può quindi affermare che esistono due registri misti: mix1 e mix2, a seconda del meccanismo laringeo da cui essi originano. Prospettive future potrebbero consistere nello studio delle – sino ad ora ipotetiche – modificazioni della sorgente e del vocal tract messe in atto dai cantanti per ottenere suoni misti di varia natura attraverso tecniche di indagine come l’endoscopia high-speed e la risonanza magnetica funzionale.

 

Di seguito due esempi artistici di voce mista. Nel primo video, il legit di Micheal Crawford ci permette di apprezzare un’abile gestione del mix, in particolare del mix1. Nel secondo video, l’interpretazione di Perdere l’amore di Lara Fabian ci permette di apprezzare la maestria con cui viene gestita l’alternanza mix2/M1 in alcuni passaggi del ritornello.

 

Michael Crawford – Music of the Night – The Phantom of the Opera

 

Lara Fabian – Perdere l’amore (Massimo Ranieri)

 

Articolo  pubblicato in data  31.01.2016  – http://vocologicamente.blogspot.com/p/la-voce-mista-un-meccanismo-fantasma.html

 

BIBLIOGRAFIA

[1] Hollien, H. (1985). Report on vocal registers.  Proceedings of the Stockholm Music Acoustics Conference, 1, 27-35.

[2] Roubeau B, Henrich N, Castellengo M. Laryngeal vibratory mechanisms: the notion of vocal register revisited. J Voice. 2009 Jul;23(4):425-38.

[3]  Castellengo M, Chuberre B, Henrich N. Is Voix Mixte, the Vocal Technique Used to Smoothe the Transition across the two Main Laryngeal Mechanisms, an Independent Mechanism? Proceedings of the International Symposium on Musical Acoustics, March 31st to April 3rd 2004 (ISMA2004), NARA, Japan

[4] Castellengo M. Registri vocali e meccanismi laringei: la “voce mista”. Atti del X Corso Internazionale di Foniatria e Logopedia La Voce Artistica. 29 oct-1nov 2015, Ravenna, Italy.

[5] Lamesch S, Expert R, Castellengo M, Henrich N, Chuberre B. Investigating voix mixte: A scientific challenge towards a renewed vocal pedagogy. 3rd Conference on Interdiciplinary Musicology, CIM07, Aug 2007, Tallinn, Estonia.

LA REATTANZA INERTIVA: il segreto fisico della voce libera e risonante

La voce non è il semplice risultato acustico della vibrazione delle corde vocali all’interno di una cavità di risonanza, bensì l’interazione complessa e non lineare tra il flusso d’aria espiratorio, la glottide e le cavità risonanziali, rappresentate dal vocal tract. Quest’ultimo è lo spazio anatomico appartenente alle alte vie aero-digestive comprendente vestibolo laringeo, ipo-oro-rinofaringe, cavo orale e cavità nasali (figura 1). È ormai noto che il tratto vocale non è un semplice insieme di cavità di risonanza, bensì una struttura che riveste un ruolo attivo nella generazione di energia acustica.

Figura 1. Il Vocal Tract

Il segreto alla base della voce libera e risonante può essere svelato in termini fisico-acustici come risultato di un’interazione virtuosa (scientificamente si direbbe a feedback positivo) tra sorgente del suono e vocal tract. Di fatto il tratto vocale può facilitare o – per contro – ostacolare l’amplificazione dell’energia acustica dell’oscillatore glottico, acquisendo una funzione cruciale ai fini del raggiungimento di un’emissione vocale efficiente.

Qual è il ruolo del soggetto fonante in tale contesto?

Egli mette semplicemente in atto le condizioni che consentono un’interazione virtuosa tra il vocal tract e la sorgente glottica; sarà poi l’energia acustica che egli stesso genera a occuparsi del resto! Potremmo quindi dire che l’azione volontaria del soggetto consiste nell’intenzione iniziale: ciò permette al sistema fonatorio di “viaggiare” in autonomia e – se le condizioni di partenza sono positive – di autorifornirsi di energia acustica generando un prodotto vocale caratterizzato da presenza sonora e ricchezza armonica. Non serve dunque un controllo muscolare attivo e volontario lungo tutta la vocalizzazione al fine di ottenere una voce risonante, bensì una coordinazione neuromotoria iniziale finalizzata all’instaurarsi delle condizioni che favoriscono un’emissione efficiente!

Ma qual è la spiegazione fisica di tale fenomeno che, esposto in questi termini, sembra quasi “magico”?

La spiegazione è una sola e – a dirla tutta – anche un po’ “nerd”, ovvero reattanza inertiva.

Una noiosa parentesi fisica è d’obbligo. In particolare un approfondimento sull’impedenza acustica rappresenta un punto cruciale per comprendere il segreto della reattanza inertiva.

L’impedenza si potrebbe descrivere come una misura di mancanza di risposta (movimento, deformazione, flusso, corrente elettrica etc) ad un determinato stimolo (che può essere una forza, una pressione, un voltaggio etc). L’impedenza può essere resistiva, reattiva o entrambe.

L’impedenza resistiva, più comunemente nota come resistenza, si verifica quando l’applicazione di uno stimolo è in fase rispetto alla risposta. Quando ciò non accade, l’impedenza sviluppa una componente reattiva, la cosiddetta reattanza. La reattanza si può ulteriormente suddividere in reattanza inertiva e reattanza compliante, a seconda che l’alterazione di fase della risposta sia rispettivamente in anticipo o in ritardo.

Al fine di comprendere tali definizioni, lo scienziato americano Ingo Titze propone un’efficace esemplificazione: immaginiamo di avere uno stimolo (rappresentato da una folla di persone in marcia) e un’impedenza (rappresentata da una porta ad ante scorrevoli). Se la porta si apre nell’esatto momento in cui un gruppo di persone tenta di passarvi attraverso, l’impedenza sarà resistiva. In altre parole, la porta rappresenterà una resistenza all’afflusso di persone, che sarà tanto più grande quanto più sono ridotte le dimensioni della porta. Se le ante scorrevoli necessitano del suono di un campanello per aprirsi, tutte le volte che un gruppo di persone tenterà di entrare ci sarà una certa inerzia nella risposta (rappresentata dall’apertura delle porte) che obbligherà le persone a fermarsi davanti alla porta prima che sia permesso loro di entrare. Al contrario, se sulla porta si trova una fotocellula che permette l’apertura quando le persone sono in avvicinamento, il fenomeno “apertura” si verificherà con un certo anticipo rispetto allo stimolo e si determinerà una condizione analoga a quella di un’impedenza compliante.

Il concetto di impedenza può essere applicato all’acustica vocale in termini di resistenza, inertanza e complianza acustica. L’impedenza acustica del vocal tract è una misura del rapporto tra la pressione e il flusso oscillanti all’ingresso del vocal tract (ovvero in prossimità della rima glottica). Se la sinusoide della pressione è in fase con la sinusoide di flusso si ha una condizione di impedenza resistiva, se la sinusoide di pressione è in anticipo rispetto alla sinusoide di flusso si verifica una condizione di reattanza inertiva, se la sinusoide di pressione è in ritardo rispetto a alla sinusoide di flusso si ha una condizione di reattanza compliante (fig. 2).

Figura 2. Relazione tra flusso e pressione in condizioni di (a) resistenza; (b) reattanza inertiva e (c) reattanza compliante (modificato da Titze, 2012[1])

Il vocal tract, in qualità di complessa camera di risonanza acustica, si caratterizza per poter dare  risposte inertive e complianti in determinati range frequenziali. E’ stato dimostrato che la reattanza inertiva del tratto vocale sopraglottico facilita la vibrazione cordale, mentre la reattanza compliante la ostacola. Considerato ciò, l’obiettivo del cantante dovrebbe essere quello di mettere il vocal tract in una condizione di reattanza inertiva per più frequenze possibili, in modo da ottenere massima assistenza per la vibrazione cordale.

Di preciso, cosa succede quando il vocal tract “assiste” la vibrazione cordale?

Quando si crea una condizione di reattanza inertiva, il vocal tract dà una spinta “extra” ad ogni ciclo vibratorio cordale, rendendo l’emissione vocale via via più efficiente.

Questa spinta si verifica quando il movimento della colonna d’aria ha un preciso ritardo rispetto al movimento di apertura-chiusura delle corde vocali. Quando le corde vocali cominciano a separarsi all’inizio di un’oscillazione, la colonna d’aria tracheale viene spinta dalla risalita del diaframma nello spazio glottico e va a comprimere l’aria ferma a livello del vestibolo. L’inerzia della colonna d’aria nel vestibolo fa incrementare la pressione a livello della rima glottica, che viene ulteriormente spinta ad aprirsi.  Quando il richiamo elastico spinge le corde ad addursi nella fase di chiusura glottica, il flusso d’aria attraverso la glottide si riduce. Per via dell’inerzia tuttavia, la colonna d’aria continua a muoversi verso l’alto, lasciando una condizione di vuoto a livello e sopra la glottide, che aiuta le corde ad unirsi con più efficacia e potenza (figura 3).

La forza e l’efficacia di queste spinte alternate sulle corde vocali dipendono dall’inertanza del vocal tract, come descritto dalla formula X = I (2πf), dove X rappresenta la reattanza, I è l’inertanza e f è la frequenza ciclica espressa in Hz.

In definitiva, similmente a quanto succede con una spinta correttamente cadenzata ad un’altalena (che determina un progressivo incremento di ampiezza di oscillazione della stessa), più grande è l’inertanza incontrata dalla colonna d’aria sopraglottica, più efficace sarà l’effetto di “tira e molla” sulle corde vocali.

Figura 3. flusso e pressione durante un ciclo glottico
(modificato da Titze, 2008 [2])

Le dirette conseguenze fisiologiche della reattanza inertiva sono una minore Phonatory Threshold Pressure (PTP), un arricchimento risonanziale della finestra 2000-4000Hz nel power spectrum e un incremento del parametro Maximum Flow Declination Rate (MFDR),  considerato oggi il principale responsabile dell’intensità vocale. Il performer sperimenterà dunque una minor fatica d’emissione, maggiore risonanza e potenza vocale.

Va precisato che il vocal tract non si comporta in maniera inertiva in tutte le condizioni morfo-strutturali che può assumere durante una performance vocale. Il compito (e il segreto) del bravo performer è proprio quello di “aggiustare” la forma del vocal tract in modo da ottenere i benefici della reattanza inertiva lungo la maggior parte del range dinamico-frequenziale!

E’ naturale chiedersi a questo punto quali siano le strategie per incrementare e controllare la reattanza inertiva del vocal tract al fine di ottenere un’emissione efficiente e risonante. 

Risulta putroppo evidente che conoscere l’esistenza del fenomeno della reattanza inertiva non sia condizione sufficiente affinché esso – magicamente –  si realizzi!

Ingo Titze ha descritto due principali “atteggiamenti” del vocal tract che favoriscono uno sfruttamento ottimale della reattanza inertiva. Il primo è stato definito megaphone shape e si caratterizza per un piccolo spazio laringeo-paralaringeo ed una grande apertura della rima buccale, che rende il vocal tract nel suo complesso simile ad una “tromba”. Questo atteggiamento è tipico dei belters.

Il secondo atteggiamento è quello definito inverted megaphone shape, nel quale il vestibolo laringeo è piccolo, lo spazio faringeo (la “gola”) è mantenuta ampia e la cavità orale ha spazi relativamente ridotti. Tale atteggiamento è invece più tipico del canto classico (figura 4).

In termini fisici, a prescindere dal tipo di vocalità, l’esperto performer vocale ricerca la morfologia del vocal tract tale per cui, per una data vocale a un determinato pitch, il maggior numero di elementi frequenziali armonici prodotti dalla sorgente glottica sperimentino una condizione di reattanza inertiva.

Figura 4. Conformazioni a megafono e a megafono invertito del vocal tract
(modificato da Titze, 2008 [2])

Sempre Titze ha proposto un “trucco” per favorire la comparsa di una risposta inertiva da parte del vocal tract in modo rapido, efficiente e sicuro: la vocalizzazione in semi-occlusione.  Ingo Titze è noto in tutto il mondo per essere stato l’inventore della tecnica della fonazione nelle cannucce (straw phonation) e in un certo senso rappresenta uno dei padri fondatori delle esercitazioni a vocal tract semi occluso. Tutti gli esercizi vocali ad impedenza aumentata (i cosiddetti SOVTE) hanno la caratteristica di incrementare le interazioni sorgente-vocal tract, facilitando l’instaurarsi di una condizione di reattanza inertiva su più frequenze dello spettro armonico. In altre parole, gli esercizi in semi-occlusione “aiutano” il vocal tract a trovare la condizione ottimale di reattanza inertiva (e quindi di emissione efficiente) per un dato suono, mettendo il performer in uno stato di partenza ottimale per lavorare o esercitare la voce.

Per approfondire i principi e le applicazioni degli esercizi a vocal tract semi occluso –> ESERCIZI A VOCAL TRACT SEMI-OCCLUSO: principi e applicazioni.

 

Articolo pubblicato in data  10 agosto 2017 – http://vocologicamente.blogspot.com/p/la-reattanza-inertiva-il-segreto-fisico.html

Fonti bibliografiche:

  1. Titze I, Abbott KV. Vocology – The Science and Practice of Voice Habilitation. National Center for Voice and Speech editore, 2012.
  1. Titze I. The Human Istrument. Scientific American, 2008.
  1. TitzeI. Voice training and therapy with a semi-occluded vocal tract: rationale and scientific underpinnings. J Speech Lang Hear Res. 2006 Apr;49(2):448-59.
  1. Story BH, Laukkanen AM, TitzeIR. Acoustic impedance of an artificially lengthened and constricted vocal tract. J Voice. 2000 Dec;14(4):455-69.

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IL POTERE DEL CANTO: dal pathway della ricompensa all’ice-breaker effect

Neurobiologia della ricompensa musicale: una prerogativa dell’essere umano

Il termine ricompensa si potrebbe definire come qualcosa di piacevole che viene dato in cambio di qualcosa di utile. Biologicamente si può considerare come ricompensa tutto ciò che provoca nell’individuo un senso edonico di piacere e lo stimola a ripetere il comportamento che ha provocato il gradevole risultato[i]. La ricerca scientifica sulla ricompensa biologica, partendo dall’osservazione del comportamento di ratti sottoposti a specifiche stimolazioni elettriche encefaliche[ii] [iii], ha portato alla scoperta del cosiddetto pathway della ricompensa. Esso coinvolge il sistema mesolimbico (in particolare l’Area Ventrale Tegmentale e il Nucleo Accumbens) ed è implicato – attraverso un sistema neurotrasmettitoriale dopaminergico – nel rinforzo di comportamenti biologicamente rilevanti ai fini della sopravvivenza, come l’assunzione del cibo[iv] e l’attività sessuale[v]. Anche nell’uomo è stato dimostrato che il rilascio di dopamina e l’attività emodinamica nelle aree mesolimbiche sono correlati al rinforzo di comportamenti adattativi riguardanti il cibo e il sesso[vi] [vii] [viii]. Tuttavia, con l’evoluzione del genere umano, anche altri aspetti hanno acquisito importanza ai fini della sopravvivenza della specie, uno fra tutti il guadagno economico. E’ stato infatti dimostrato che ottenere denaro attiva le aree mesolimbiche, risultando un evento fortemente rinforzante in termini adattativi[ix]. Ne deriva che l’uomo ha acquisito l’abilità di ottenere ricompense “secondarie” da condizioni che non necessariamente contengono intrinseci legami con la sopravvivenza. In realtà il genere umano è andato ancora oltre, sviluppando la capacità di attivare la via della ricompensa tramite stimoli con caratteristiche astratte e con scarsa rilevanza evoluzionistica. La musica è un ottimo esempio di questo fenomeno: nonostante lo stesso Darwin osservasse che la musica non ha alcuna conseguenza funzionale diretta e nessuna chiara funzione adattativa[x] , essa è ubiquitariamente diffusa nel genere umano dai tempi più antichi.
Negli ultimi anni il gruppo di Zatorre et al. ha condotto numerose ricerche sull’argomento, confermando che nel genere umano la musica è implicata nell’attivazione del pathway della ricompensa attraverso il rilascio di dopamina nel sistema mesolimbico. Questo meccanismo rappresenterebbe la base biologica delle sensazioni positive che proviamo quando ascoltiamo musica[xi] [xii] [xiii]. Ciò che nell’uomo consente l’innesco della ricompensa in risposta a stimoli estetico-musicali è rappresentato dalle complesse connessioni che esistono tra il sistema limbico e la corteccia, soprattutto nelle regioni prefrontali e temporali, che si attivano in risposta a stimoli musicali piacevoli e sono peraltro peculiarità evolutiva del genere umano[xiv] [xv] [xvi] [xvii].
Va da sé che il canto, espressione musicale umana per eccellenza, rappresenta un importante trigger per l’attivazione del pathway della ricompensa, generando piacere in chi ne fruisce (sia attivamente che passivamente). E’ stato infatti dimostrato che durante la produzione cantata vi è un’attivazione del Nucleo Accumbens che non si apprezza durante la vocalizzazione parlata[xviii]. Ancora, alcuni ricercatori hanno osservato che la terapia sostitutiva a base di dopamina nei pazienti affetti da morbo di Parkinson può, in alcuni casi, scatenare un “canto compulsivo”, rafforzando l’ipotesi di un’importante relazione tra il canto e i sistemi dopaminergici alla base del pathway della ricompensa[xix].

Effetti biologici del canto: ossitocina e immunoglobuline

Alcuni studiosi hanno indagato quali possano essere alcuni degli esiti biologici del canto, riportando risultati decisamente interessanti. Per esempio, una ricerca di Grape et al. [xx] ha studiato gli effetti di una lezione di canto della durata di 30 minuti su un gruppo di cantanti amatoriali e professionisti, riscontrando in entrambi i gruppi un significativo aumento dei livelli ematici di ossitocina, conosciuta anche come “ormone dell’amore” e recentemente indicata come uno dei possibili biomarkers dello stato d’ansia (in particolare bassi livelli di ossitocina sembrerebbero correlarsi e predire stati d’ansia nei bambini)[xxi]. Dopo la lezione, oltre agli incrementati livelli di ossitocina, il gruppo degli amatoriali riportava in effetti una sensazione di maggiore gioia e relazionalità, mentre i professionisti erano più orientati su obiettivi canori “tecnici” e badavano meno agli aspetti emotivo-sociali. Tuttavia i cantanti di entrambi i gruppi si sentivano più rilassati ed energici al termine della lezione, suggerendo un effetto ansiolitico ed energizzante da parte del canto.
Altri studi hanno riscontrato che il canto in gruppo sembrerebbe essere correlato ad una maggiore secrezione di s-IgA (anticorpi secretori) congiuntamente ad un incremento di emozioni positive e sensazione di rilassamento[xxii] [xxiii] [xxiv]. Per esempio il gruppo di Beck et al. ha analizzato le concentrazioni salivari di s-IgA nei membri di un coro di professionisti, rilevando – a parità di flusso salivare – un aumento delle concentrazioni anticorpali del 150% durante le prove e del 240% durante la performance, suggerendo che il canto potrebbe avere un effetto immunostimolante.

Prospettive terapeutiche?

Il canto è stato indagato anche come possibile ausilio terapeutico in numerose condizioni patologiche, soprattutto di pertinenza neurologica. In una review di Wan et al.[xxv] sono stati presi in esame gli ambiti clinici in cui il canto trova più frequente impiego e le evidenze scientifiche a sostegno del canto come strumento terapeutico riportando che, per esempio, il canto sembrerebbe essere efficace nel trattamento della balbuzie, favorendo un miglioramento della fluidità del linguaggio[xxvi] [xxvii] [xxviii].
Anche nel morbo di Parkinson il canto sembrerebbe favorire risultati interessanti. Circa l’80% dei malati di Parkinson tende a sviluppare problemi vocali e di linguaggio, in alcuni casi tali da pregiudicare la qualità di vita. E’ stato dimostrato che un protocollo di riabilitazione vocale intensivo conosciuto come Lee Silverman Voice Treatment (LSVT) può essere efficace nel migliorare la produzione vocale dei pazienti affetti da Parkinson[xxix]. Alcuni recenti studi hanno indagato anche il canto come ausilio riabilitativo (in particolare il canto corale), con risultati incoraggianti dal punto di vista del miglioramento vocale, respiratorio e della qualità di vita dei pazienti Parkinsoniani [xxx] [xxxi].
Nell’ambito dell’afasia (possibile devastante complicanza di ictus o di altre tipologie di danni cerebrali, caratterizzata da perdita della capacità di produrre e/o comprendere correttamente il linguaggio) il canto può trovare ancora una volta utile impiego. In particolare, un protocollo chiamato Melodic Intonation Threrapy (MIT) sembrerebbe efficace nel favorire miglioramenti nelle afasie non fluenti (o afasie di Broca)[xxxii] [xxxiii]. Questi tipi di afasie sono causate da danni all’emisfero cerebrale sinistro (dove ha sede l’area di produzione del linguaggio detta area di Broca). E’ stato osservato che pazienti colpiti da afasia non fluente spesso riescono a cantare il testo di canzoni meglio di quanto riescano a recitare le stesse parole. La MIT, attraverso l’impiego di elementi musicali (melodici e ritmici), favorirebbe il recupero del linguaggio sfruttando la neuroplasticità cerebrale e le conservate capacità canore che fanno capo all’emisfero destro[xxxiv] [xxxv] [xxxvi].
Un’altra condizione che potrebbe beneficiare del canto è l’autismo. Esso è un disturbo che si caratterizza per la compromissione più o meno grave dell’interazione sociale e della comunicazione verbale e non verbale. Gli individui autistici hanno tuttavia abilità superiori di processamento uditivo e spesso dimostrano interesse nell’apprendimento musicale[xxxvii] [xxxviii] [xxxix]. Alcune ricerche hanno dato risultati incoraggianti circa l’impiego del canto in bambini e ragazzi autistici ai fini dello sviluppo del linguaggio, con miglioramento clinico e funzionale [xl] [xli] [xlii] [xliii]. In particolare è stato sviluppato il cosiddetto Auditory-Motor Mapping Training (AMMT)[xliv], che mira a favorire la produzione verbale allenando l’associazione tra suoni e azioni articolatorie attraverso il canto e attività ritmico-motorie bimanuali su percussioni. In uno studio di Wan et al[xlv]. l’applicazione dell’AMMT in un gruppo di bambini autistici non verbali ha dato risultati incoraggianti in termini di output vocale, suggerendo un possibile ruolo del protocollo nel favorire lo sviluppo del linguaggio nel soggetto autistico.

L’effetto “ice breaker”

Una delle più recenti e curiose scoperte riguardo al canto è che esso favorirebbe il cosiddetto effetto “ice-breaker”, vale a dire che aiuterebbe a rompere il ghiaccio. Uno studio di Pearce et al. [xlvi] ha indagato la capacità del canto di generare coesione sociale: i ricercatori hanno seguito per un periodo di sette mesi alcuni gruppi di adulti coinvolti in corsi di canto, paragonandoli a gruppi di adulti coinvolti in corsi di altro tipo (artigianato creativo e scrittura). Le classi di cantanti e non cantanti sono state analizzate e paragonate in tre momenti del corso: al primo mese, al terzo mese e al settimo mese rispetto a una serie di parametri quali la soglia del dolore, emozioni positive e negative e il grado di vicinanza e affiatamento percepito con i compagni di corso. Si è riscontrato che sostanzialmente tutti gli aspetti indagati andavano incontro a un miglioramento durante i corsi, indipendentemente dal fatto che si trattasse di corsi di canto o di altro genere. Quello che ha stupito i ricercatori è stata invece la velocità con cui i gruppi di canto hanno creato coesione interna e affiatamento rispetto agli altri gruppi. Nonostante alla fine dei sette mesi i livelli di coesione fossero simili tra le varie classi, i gruppi di canto hanno dimostrato un’impennata del grado di affiatamento già dal primo mese, significativamente maggiore rispetto a quella degli altri gruppi. In questo senso il canto di gruppo ha dimostrato di essere un valido strumento per “rompere il ghiaccio” aiutando a instaurare legami positivi di coesione in breve tempo. Conosce bene questo fenomeno chi ha avuto la fortuna di cantare in un coro o di restare “coinvolto” in una circle song…

In conclusione, non serviva certo la ricerca scientifica per svelare qualcosa che è sotto gli occhi di tutti, cioè che cantare aiuta a stare bene. D’altra parte è venuto prima il saggio adagio “canta che ti passa” di qualsiasi trial scientifico! Certo è che le interessanti conferme (e in alcuni casi scoperte) scientifiche riguardo al potere del canto in ambito bio-fisiologico, clinico e sociale possono aprire nuovi orizzonti di ricerca e di applicazione della voce cantata, ma soprattutto ci ricordano quanto sia difficile smettere di stupirsi e meravigliarsi di fronte a una disciplina così umana, ma anche così magica come il canto.

 

BIBLIOGRAFIA

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Le voci di Bobby McFerrin: magia o prestigio? Analisi acustiche e ipotesi psicologiche

Quando si ascolta cantare Bobby McFerrin, è difficile non rimanerne rapiti ed affascinati. Le sue doti tecniche e potenzialità espressive lo collocano senza dubbio tra i più virtuosi artisti del panorama musicale moderno. La sua ampia discografia comprende produzioni di voce e strumenti (come nelle celebri collaborazioni con Yo-Yo Ma e Chick Corea), di voice overdubbing (si pensi al celebre “Don’t worry be happy”), di Circlesongs, di voce e orchestra e di voce solista a cappella. Una cosa è certa: il comune denominatore della produzione artistica di Bobby McFerrin è la voce nelle sue innumerevoli sfaccettature. L’attività di vocal solo è probabilmente quella che mette maggiormente in evidenza le più intriganti versatilità canore dell’artista: con il solo strumento vocale egli è in grado di cantare le parti del basso, dell’accompagnamento, le linee melodiche e la ritmica, lasciando all’ascoltatore l’impressione di un’esecuzione organica e quasi polifonica.
È il fascino nei confronti di questa voce unica che mi ha spinto a condurre una ricerca acustica, per cercare di svelare qualche segreto della magia con cui Bobby McFerrin incanta i suoi uditori. Nello specifico, sono state prese in considerazione ed analizzate le qualità vocali impiegate da Bobby McFerrin nelle performances di solo vocale selezionando 20 brani musicali di voce solista a cappella estratti dagli album The voice, Spontaneous inventions e Bobby McFerrin, dai quali sono stati campionati ed indagati – previa normalizzazione – i frammenti vocali più significativi. Per ogni qualità vocale sono state compiute indagini acustiche tramite l’elaborazione di spettrogrammi, spettri di potenza e long term average spectrum (LTAS) con i softwares PRAAT (vers 5.3.57) e Voiceprint plus (vers. 6.0.3). La valutazione percettiva è stata condotta descrivendo la modalità di emissione vocale in termini di meccanismo laringeo (secondo la definizione di Rubeau et al.) e qualità vocale (secondo le definizioni dell’Estill Voice Training System).
Le voci di Bobby McFerrin
Una qualità con cui Bobby McFerrin si esprime spesso nel tema dei brani, nello scatting e nelle linee di basso, è quella dello speech. Questa modalità di emissione è essenzialmente neutra, si realizza nel meccanismo laringeo M1, senza grandi enfatizzazioni armoniche. Nell’analisi spettrografica e nel LTAS si osserva infatti uno spettro senza specifiche aree di rinforzo energetico, suggestivo di un’emissione senza atteggiamenti di particolare esaltazione frequenziale da parte del vocal tract (Fig. 1-3).
 
Figura 1. LTAS, speech.
Figura 2. Spettrogramma, speech.
Figura 3. Spettro di potenza, speech.
 
Il falsetto è un’altra qualità vocale molto usata da Bobby McFerrin, soprattutto nei temi cantati, nello scatting e negli arpeggi di accompagnamento, caratterizzata dal tipico timbro flautato ottenuto con meccanismo laringeo M2. Spesso il falsetto di Bobby McFerrin prevede una fuga d’aria glottica, che conferisce al suono una qualità percettiva “soffiata”.  L’aspetto spettrografico è tipico: il suono è povero di armonici, con rumore inter-armonico dovuto all’aria (Fig. 4).
 
Figura 4. Spettrogramma e spettro di potenza, falsetto.
 
 
La qualità operistica viene impiegata molto più raramente nella produzione vocale di Bobby McFerrin, perlopiù con intento comico. Tuttavia la padronanza della tecnica consente all’artista di ottenere un suono operistico, per quanto caricaturale, percettivamente riconoscibile come tale. Dalle indagini acustiche si può infatti rilevare la presenza della caratteristica formante del cantante lirico nella finestra frequenziale compresa tra i 2000-3000 Hz (Fig. 5-7). 
 
Figura 5. LTAS, qualità operistica.
Figura 6. Spettrogramma, qualità operistica.
Figura 7. Spettro di potenza, qualità operistica.
 
Spontaneous Inventions. 
Per un esempio di qualità operistica caricaturale si veda il min. 24.30

 

 Il twang propriamente detto (che siamo abituati ad ascoltare nei cantanti folk) è – analogamente alla precedente – una qualità raramente usata da Bobby McFerrin, sebbene in alcuni brani sia reperibile con caratteristiche percettive tipiche (per esempio nell’intro di My own Walkman). In questa qualità la voce assume le classiche caratteristiche di brillantezza, nasalità e si arricchisce del ben noto “squillo”. Dal punto di vista acustico, anche nel twang osserviamo il rinforzo armonico della formante di canto, con energia acustica accumulantesi più precisamente nell’ambito frequenziale compreso tra i 3000-4000Hz (Fig 8, 9).
 
Figura 8. LTAS, twang.
 
Figura 9. Spettrogramma e spettro di potenza, twang.
I’m my own walkman:
Molto usata da Bobby Mcferrin nel canto a cappella è una qualità percettivamente somigliante al twang ma con caratteristiche acustiche distintive, che potremmo definire trumpet like per via della singolare vicinanza con il suono di una tromba con sordina. Essa infatti presenta un inconfondibile timbro estremamente brillante, pulito e metallico e viene usata perlopiù con scopi strumentali e di accompagnamento (si pensi al riff di fiati che si alterna al cantato in I feel good), per piccoli assoli (come si può ascoltare in Thinking about your body) o a scopo di fraseggio comico (per esempio negli spassosi live sul Mago di Oz). Ciò che colpisce di questa qualità è come, dal punto di vista fisico-acustico, risulti molto lontana dalle altre modalità di emissione. Spettrograficamente si nota infatti la presenza di armonici ricchi di energia, determinanti un profilo dello spettro di potenza molto caratteristico, con picchi perlopiù isoenergetici in successione, che molto si discostano dal tipico aspetto dello slope spettrale dell’emissione vocale (Fig. 10).
 
Figura 10. Spettrogramma e spettro di potenza,  qualità trumpet-like.
 
Se si prova a paragonare il LTAS delle varie qualità vocali, ci si rende conto la qualità trumpet è di fatto molto lontana dalle altre fino ad ora analizzate (Fig. 11). Questo aspetto si evince in particolare elaborando le linee di tendenza dei vari profili spettrali (Fig. 12) .

Figura 11. LTAS delle qualità a confronto.

Linea continua: trumpet; linea punteggiata: falsetto; 
linea tratteggiata: qualità speech; 
linea tratteggiata/punteggiata: qualità opera.

Figura 12. LTAS delle qualità a confronto con linee di tendenza relative.

Si osserva che la pendenza della qualità “trumpet” è decisamente inferiore rispetto alle altre.
 
Se invece proviamo a paragonare il suono della qualità trumpet con quello di una vera tromba con sordina, ci rendiamo conto che tra essi esiste una grandissima somiglianza. Infatti lo spettro acustico del suono di tromba ha caratteristiche del tutto simili a quelle della suddetta qualità, con armonici ricchi di energia e spettro di potenza con picchi isoenergetici in successione (Fig. 13).
 
Figura 13. Spettrogramma e spettro di potenza di tromba con sordina mute.
Anche il LTAS conferma la singolare somiglianza tra la qualità vocale analizzata e il timbro di una tromba con sordina (Fig. 14), evidenziando le grandi potenzialità imitativo-distorsive della voce di Bobby McFerrin.
 
Figura 14. LTAS della qualità trumpet-like (linea continua)
e di tromba con sordina (linea tratteggiata) a confronto.
 
BobbyMcFerrin with Wayne Shorter – Spontaneous Inventions
Wizard of Oz



Prescindendo dalle incredibili qualità vocali, un’altra componente artistica fondamentale nelle performances a cappella d Bobby McFerrin è rappresentata dalla ritmica, da lui ottenuta con tecniche di body percussion e –  sebbene più raramente –  di beatboxing. In quasi tutti i brani di solo vocale una mano si muove sul petto dell’artista scandendo il tempo, con una modalità di percussione che permette di ottenere con il pollice e il carpo un suono grave e timpanico (somigliante a quello di una grancassa), con le dita e il palmo un suono più acuto e ottuso (che ricorda quello di un rullante) alternati in sequenze ritmiche variabili. Oltre alla componente ritmica, anche l’effettistica non manca nella produzione vocale di Bobby McFerrin: si pensi alla capacità di riprodurre un battito d’ali d’uccello in Blackbird, alla capacità di simulare un delay (non di rado impiegato nei finali dei brani musicali) ed alla capacità di emettere suoni polifonici e di simulare il motore di un’auto, come accade in Drive.

Drive
 Blackbird



 
Magia o Illusione?
Quelli descritti finora sono gli “ingredienti” della produzione vocale di Bobby McFerrin, che vengono poi combinati magistralmente nel prodotto finito della performance.
L’artista, nel suo tipico brano a cappella, è in grado di impiegare le descritte modalità di emissione (nella grande maggioranza dei casi le qualità speechtrumpet e falsetto) con cambiamenti repentini, incastrando strategicamente le linee di basso, i suoni d’accompagnamento e le linee melodiche. Il tutto viene scandito dal ritmo della body percussion e da fiati strategici, che non di rado sfruttano il flusso inspiratorio per produrre suoni in modalità vibratoria retrograda. Quando ascoltiamo un brano di Bobby McFerrin, il nostro cervello è quindi letteralmente investito da una serie di informazioni ritmico-musicali sequenziali che vengono poi “assemblate” nel prodotto finito. Non di rado chi ascolta per la prima volta Bobby McFerrin in una performance a cappella stenta a credere che il prodotto vocale sia il risultato dell’attività di un singolo cantante, per via della complessità e della quasi-polifonia raggiunta.
Questo fenomeno può forse trovare spiegazione nelle leggi della percezione della Gestalt. La percezione si può intendere come il processo mediante il quale traiamo informazioni sul mondo nel quale viviamo; essa si realizza in maniera selettiva, costruttiva e interpretativa. La nostra mente, in base a determinate leggi, seleziona tra le sensazioni quelle che – in una data situazione – sono per noi importanti, organizzandole in un insieme ordinato e comprensibile. Pertanto c’è differenza tra ciò che percepiamo e ciò che la nostra mente ricava dalle percezioni. La percezione non è un processo casuale o passivo, ma implica attività organizzativa da parte del sistema nervoso centrale dell’osservatore. Alcune delle leggi della percezione possono in effetti spiegare “l’illusione” creata dalla voce di Bobby McFerrin.
Il primo principio è quello della chiusura, basato sul fatto che il nostro cervello tende a completare le figure o i suoni per dare ad essi un contorno semplice e completo. Perciò quando una figura, oppure una melodia, presenta un aspetto di incompletezza o un contorno non sufficientemente rifinito, il cervello tende a regolarizzare, a completare le parti che considera mancanti. Ecco perché quando osserviamo il triangolo di Kanizsa (Fig. 15) abbiamo l’illusione di vedere due triangoli che si intersecano. Allo stesso modo quando ascoltiamo Bobby McFerrin, sebbene l’artista fornisca al nostro cervello esclusivamente degli “spunti sonori” (non potendo evidentemente cantare contemporaneamente basso, armonizzazione e melodia), la nostra mente si occupa di inserire le “tessere mancanti” ricostruendo un mosaico musicale completo. Di fatto Bobby McFerrin consegna all’orecchio dell’ascoltatore un triangolo di Kanizsa “sonoro”.
 
Figura 15. Triangolo di Kanizsa
 
 
Un altro principio è quello della buona continuazione (detto anche del moto destino comune), secondo il quale è più facile percepire una continuazione regolare (di un movimento, di una sequenza di elementi, di un comportamento) che un brusco cambiamento di andamento. Ecco perché il nostro cervello preferisce dare una continuità orizzontale ai suoni delle esecuzioni di Bobby McFerrin, piuttosto che percepire in modo verticale i bruschi cambiamenti timbrici e frequenziali, seguendo così su “binari paralleli” la linea di basso, la melodia, l’accompagnamento e la ritmica.
Un terzo principio è quello della similarità (o somiglianza), che ci porta a raggruppare più facilmente gli elementi che presentano delle caratteristiche simili, percependoli come appartenenti alla stessa configurazione. Questo spiega come mai, nonostante i bruschi continui passaggi da una modalità di emissione all’altra, il nostro cervello tenda a raggruppare e a percepire come appartenenti allo stesso insieme coerente i suoni con caratteristiche timbriche simili (basso, linea melodica, armonizzazioni, ritmica).
 
Figura 16. Spettrogramma della strofa del brano a cappella I feel good, con andamento di F0 (tracciato azzurro).
Nei riquadri vengono messi in evidenza la linea di basso (riquadro blu), l’accompagnamento (rosso) e il tema (giallo)

I feel good: 

I descritti principi neurofisiologici fanno sì che il risultato finale assemblato dal nostro cervello sia un prodotto che, nonostante la grande complessità, viene percepito come organico ed omogeneo, in altre parole, piacevole.
 
Conclusioni
Si può affermare che Bobby McFerrin sia certamente un “mago” della tecnica per la maestria con cui padroneggia le qualità vocali e la ritmica, ma anche un formidabile illusionista in grado di fornire le pennellate strategiche di un quadro musicale che viene completato dal cervello dell’ascoltatore. In altre parole, l’artista genera un mosaico sonoro che rende lo spettatore parte attiva nella performance in qualità di “assemblatore” degli input ricevuti.  E’ ragionevole pensare che Bobby McFerrin non sia affatto autore inconsapevole del fenomeno del quale è responsabile: egli infatti, in occasione dei suoi concerti, non di rado ringrazia l’audience in quanto parte attiva nella creazione di brani musicali che non sono un prodotto finito consegnato all’orecchio dell’uditore, ma una “bozza” che prende – di volta in volta – sua completa realizzazione nella mente di chi l’ascolta.


Un esempio di quanto Bobby McFerrin sia consapevole delle potenzialità “neuro-musicali” del suo pubblico è contenuto in questo video: “Bobby McFerrin demonstrates the power of the pentatonic scale”.
 
Fonti bibliografiche
  • Estill J. (1995). VOICECRAFT: A User’s Guide to Voice Quality. Volume two: some basic voice qualities. Santa Rosa, California: Estill Voice Training System.
  • Estill J. (1997). Primer of Compulsory Figures, Level two: Six Basic Voice Qualities. Santa Rosa, California: Estill Voice Training System.
  • McFerrin, B. (1984). The Voice. [CD]. Elektra/Musician
  • McFerrin, B. (1986). Spontaneous inventions. [CD].  Blue Note Records.
  • Palmer, S. (1999). Vision Science. Photons to Phenomenology. Cambridge, MA: MIT Press.
  • Roubeau BHenrich N & Castellengo M. (2009). Laryngeal vibratory mechanisms: the notion of vocal register revisited. Journal of Voice. 23(4), 425-38.
  • Todorović D & Metzger W. (2007). Laws of Seeing. Gestalt Theory. 28, 176-180.
  • Yanagisawa E, Estill J, Kmucha S.T, Leder S.B. The Contribution of Aryepiglottic Constriction to “Ringing” Voice Quality A Videolaryngoscopic Study with Acoustic Analysis.  Journal of Voice. 1989 Dec; 3 (4): 342-50.

ANCHE LE VOCI DELLE SUPERSTAR VANNO… DAL CHIRURGO

In una recente review retrospettiva il Dr. Steven M. Zeitels, otorinolaringoiatra e fonochirurgo di fama mondiale, ha descritto i casi di “voci superstar” incontrate nella sua lunga carriera. In particolare, il chirurgo statunitense racconta attraverso un’affascinante iconografia endoscopica la sua esperienza di fonochirurgia su 18 vincitori di Grammy Awards, tra cui Steven Tyler e Adele. 

Negli esami obiettivi di questi celebri pazienti vengono riportate riduzione dell’elasticità della lamina propria in 15 casi su 18; varici/ectasie capillari esitanti in emorragie cordali in 6 casi, polipi cordali in 9 casi; lesioni nodulari fibro-vascolari in 6 casi; 1 caso di granuloma aritenoideo; 4 casi di cicatrici da pregresse fonochirurgie esitanti in rigidità della lamina propria superficiale; 4 casi di sulcus o cicatrici da fonotrauma cronico esitanti in rigidità della lamina propria superficiale; 1 caso di cisti benigna; 2 casi di precancerosi e 2 casi di carcinoma invasivo. Delle 50 lesioni diagnosticate, solamente il 10% era rappresentato da neoplasie (benigne o maligne) mentre la grande maggioranza restante (90%) era rappresentata da lesioni acquisite correlate principalmente a fonotrauma (acuto o cronico). 

Polipo cordale emorragico

In tutti i casi descritti un’attenta e meticolosa fonochirurgia, accompagnata da un programma di riabilitazione logopedica post-operatoria e di una graduale ripresa degli impegni canori con la supervisione di esperti vocal trainers, ha consentito ai performers di proseguire l’attività artistica e di non interrompere la carriera. L’autore rimarca quanto sia importante – per l’otorinolaringoiatra che si occupa di chirurgia della voce – l’approfondita conoscenza della complessa struttura anatomica della lamina propria della mucosa cordale, caratterizzata da 3 strati con diversi ruoli e consistenze: lo strato superficiale, di consistenza gelatinosa (spazio di Reinke); lo strato intermedio (elastico) e lo strato profondo (fibroso) costituenti il legamento vocale. Il rispetto dell’anatomia della lamina propria – in particolare della parte superficiale, a volte sottovalutata – è considerato dall’autore la chiave del successo per la microchirurgia della voce.

 

Strati istologici della corda vocale

➡️ https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/…